di Psic. Rebecca Rossi
La paura di vomitare si caratterizza per un terrore intenso e sproporzionato del vomito, con una sensazione di disagio percepito che va oltre al semplice disgusto.
Quando questa paura assume i contorni di una condizione cronica e invalidante caratterizzata dall’evitamento di attività o situazioni che potrebbero aumentare il rischio di vomitare o di vedere qualcuno rimettere, si parla di emetofobia. Da un punto di vista nosografico l’emetofobia viene attualmente classificata nel DSM-5 come una fobia specifica del vomito.
Questa condizione clinica è associata anche a una notevole compromissione funzionale e a una consistente interferenza nello svolgere azioni quotidiane, come per esempio mangiare o praticare attività fisica.
In quanto forma fobica vi è nella persona un’intensa angoscia che causa un disagio clinicamente significativo.
Negli individui che ne sofforono, i trigger che la attivano derivano da fattori sia interni che esterni, infatti c’è una componente di ansia sociale che implica il timore di vomitare in pubblico e stimoli ambientali che possono portare il pensiero della persona all’esperienza di vomito (ad esempio rumori, odori) accompagnati da sensazioni viscerali interpretate aprioristicamente come indicative di vomito imminente.
Dalle indagini condotte, in letteratura emerge come sia una condizione molto più comune nelle femmine. I dati disponibili sono purtroppo attualmente ancora limitati, trattandosi principalmente di studi di singoli casi, ma suggeriscono che l’emetofobia ha tipicamente il suo esordio prima dell’età adulta e un decorso cronico.
Vi sono inoltre diverse evidenze rispetto alla presenza di un erroneo apprendimento associativo nell’emetofobia, per cui il vomito viene associato ad una conseguenza avversa (da un punto di vista sociale, come sperimentare intensa vergogna nel vomitare davanti ad altre persone e angoscia al pensiero che questo possa verificarsi; o da un punto di vista della salute, in cui l’atto di rimettere viene percepito come estremamente dannoso per l’organismo).
Recentemente è stata messa a punto una valutazione self-report che indaga la gravità dei sintomi dell’emetofobia. È stato infatti sviluppato un test composto da 13 item, l’EmetQ-13, che ha mostrato correlazioni significative anche con costrutti correlati come la sensibilità al disgusto. Il questionario ha mostrato un’ottima capacità di classificare individui emetofobici e non emetofobici, con assegnazione corretta nella quasi totalità dei casi (96,2%).
QUALI POSSONO ESSERE LE CAUSE?
All’origine dell’emetofobia può esserci un evento o un’esperienza emotivamente molto stressante o traumatica, che ha causato nella persona un’intensa angoscia relata al vomito.
Recenti evidenze hanno mostrato come alcuni tratti di personalità, come un estremo locus of control interno, la paura di perdere il controllo e tratti perfezionistici possono essere correlati all’emetofobia.
Si attiverebbe inoltre nell’individuo uno schema ricorrente che porta a sperimentare iper-vigilanza rispetto alle sensazioni viscerali che provengono dallo stomaco. Fornendo un’interpretazione spesso erronea a queste sensazioni, identificandole come l’esordio di un possibile episodio di vomito. Ciò causa ansia, che a sua volta aumenta la sensazione di nausea, in un circolo che si auto-alimenta, portando ad evitamento e ulteriore ansia.
Diversi studi si sono concentrati anche sulla presenza di un’estrema sensibilità all’emozione di disgusto, che sembra essere correlata all’emetofobia. Due fattori sembrano essere importanti nello sviluppo di questa forma fobica: la propensione al disgusto, cioè quanto velocemente l’individuo sperimenta il disgusto, e la sensibilità al disgusto, cioè quanto negativamente l’individuo valuta l’esperienza. La sensibilità al disgusto sembra inoltre essere un importante predittore dello sviluppo di un quadro emetofobico.
QUALE PUO’ ESSERE LA TERAPIA PIU’ FUNZIONALE?
La letteratura suggerisce che la terapia cognitivo comportamentale (CBT) sia molto efficace nell’intervenire nei casi di emetofobia, così come la terapia dell’esposizione, molto utile per ridurre le condizioni fobiche e di ansia.
Il trattamento cognitivo-comportamentale più funzionale per trattare l’emetofobia viene condotto sia mediante psico-educazione, che tramite una procedura di esposizione situazionale ed enterocettiva. Vi è inoltre la ristrutturazione cognitiva dei pensieri disfunzionali sulla nausea e il vomito. Talvolta in associazione al trattamento viene intrapresa una terapia farmacologica.
A titolo esemplificativo si riporta come, in uno dei diversi articoli presenti in letteratura, viene discusso il singolo caso di una ragazza emetofobica. In questa analisi emerge come la sua condizione clinica sia stata trattata mediante la terapia cognitivo-comportamentale, nello specifico attraverso un intervento psico-educazionale sull’origine e le implicazioni dei sintomi fisici dell’ansia, l’esposizione graduale a situazioni temute, l’esposizione interocettiva e la ristrutturazione cognitiva, qualificandosi come un intervento di successo nel trattamento dell’emetofobia (caso discusso nel seguente articolo: Hunter, P. V., & Antony, M. M. (2009). Cognitive-behavioral treatment of emetophobia: The role of interoceptive exposure. Cognitive and Behavioral Practice, 16(1), 84-91.).
Nel caso in cui l’emetofobia derivi da un evento traumatico risulta essere molto utile anche la terapia EMDR, che si concentra sulle memorie relate al trauma. Avendo l’emetofobia un esordio spesso nell’infanzia o adolescenza, talvolta in seguito a esperienze emotivamente molto forti di vomito o proprio o altrui, l’EMDR si qualifica come un intervento in grado di elaborare il ricordo traumatico che spiega l’insorgenza della condizione fobica.
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